MY FLOWERS

Compagnie 3.14
5 - 6 novembre - prima assoluta - Fonderie Limone Moncalieri

concezione coreografica Valeria Apicella
interpreti Valeria Apicella, Ruth Rosenthal
testi Valeria Apicella, Ruth Rosenthal
montaggio musicale Cyril Béghin
luci Jean-Pascal Pracht
consulenza scenografia Luca Servino
costumi Valeria Apicella
campane Michael Metzler
tecnico del suono Sébastien Tondo
traduzioni Piera Formenti, Ariana Letizia
Compagnia 3.14
coproduzione Maison de la culture de Bourges, Torinodanza Festival,
Maison du Théâtre et de la Danse d’Epinay-sur-Seine
con il sostegno di DRAC Île-de-France, Scène nationale - Mulhouse,
Studios Micadanses (Paris), di Lanificio 25 - Carlo Rendano Association (Napoli)
e Consultrading (Napoli)

Corpi in esilio
“Sullo sfondo bianco di una stanza segreta, una donna sempre più angosciata, entra ed esce dallo spazio nero che la contiene. La sua duplice natura, l’essere esteriore e la creatura interiore, si apre all’esplorazione. Nella ricostruzione che segue il dramma, questa donna mostrerà a volte un aspetto, a volte un altro. Saranno due le interpreti, presenze diverse, come due attributi necessari alla rinascita del corpo. Questo sdoppiamento intimo e profondo incarna la costruzione di un percorso che ridisegna il corpo e lo spazio, nel corso del tempo che lo separa dal dramma.
Quale sarà la nuova terra del corpo esiliato dal proprio amore? Queste presenze “post-tragiche” non sono “moderne”. Non si perdono nel vuoto, nell’impossibilità di rigenerarsi, in un’incapacità di azione o di ripetizioni senza alcun esito. Se passano attraverso incantesimi vocali o litanie gestuali, è per fare del loro spazio un luogo rituale, come per essere loro stesse le sacerdotesse del post-dramma. La forza che torna a vivere nel corpo afflitto”.

Il sud del sud
“My Flowers vorrebbe esprimere nel contempo la grande pateticità amorosa, al limite del kitsch, e la magia rituale, puerile e spaventosa, fino alla comicità. Come se l’opera fosse una processione verso la costruzione assurda dell’immagine di una santa, una specie di bambola voodoo che ripulisce le donne dalle loro disavventure e restituisce loro una memoria dolce ed indimenticabile di ciò che è stato. Indubbiamente, in questo desiderio è presente qualcosa dell’Italia del Sud:
di ciò che Carmelo Bene definiva “il sud del sud dei santi”, del Mezzogiorno come territorio saturo di arcaicità ma soprattutto popolato da figure che fanno realmente, e magicamente, ritornare ciò che si credeva finito e sfuggito, una volta che gli spettacoli sono giunti al termine, le chiese sono state chiuse o le immagini sono state spente. Mostrare, far percepire la persistenza della figura tragica in sé, di per sé stessa: Didone abbandonata, Armida abbandonata, “abbandonata” e, di conseguenza, presente e come santificata, diventata essa stessa la santa della fine dell’amore e la santa dell’aiuto o dell’assistenza: una “Nostra Signora dell’Aiuto”, in modo buffo e nobile”.

Valeria Apicella


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